Nella vita letteraria è possibile osservare le varie tematiche affrontate dalla scrittrice, ma sopratutto un passaggio di evoluzione e mutamento dai libri che hanno contribuito a costruire la sua bibliografia.
Concentrandosi sulle tendenze culturali, l’avversione al positivismo e al razionalismo tipicamente ottocenteschi mette d’accordo già in epoca prefascista personaggi molto diversi sia per caratura culturale che politica come Prezzolini, Papini, Soffici e Corradini. I primi due fondano nel 1908 “La Voce”; il secondo e il terzo, in aperta polemica col primo, nel 1913 fondano “Lacerba”. Entrambe le riviste sono tutte tese al rinnovamento della cultura italiana a colpi di rivoluzioni emotive, poetiche e spirituali della vita. La foggia recisamente antipositivista ma al contempo antisocialista che caratterizza “La Voce” non lascia indifferente la Sarfatti che si complimenta con Prezzolini scrivendogli che la rivista è viva e sincera, riconoscendola come un ottimo sperimento rinnovatore della società, cosa che anche i socialisti, con diverse sfumature, agognano. E’ proprio grazie agli stimoli vociani che, come appunto molti suoi compagni, Margherita si smarca dal socialismo per volgere il suo sguardo politico all’eresia fascista. La goccia che fa traboccare il vaso è il suo sostegno alla guerra, che la pone in chiave antagonista nei confronti del suo partito. A quel punto, sconfessa sia il socialismo che il femminismo, ma anche l’internazionalismo. D’altra parte, acquisisce definitivamente il sentimento nazionalista. Il “salto della quaglia” avviene nel triennio ’12 – ’15 e sarà più tardi condiviso da molti compagni. Sempre più socialisti si convincono del ruolo demiurgico degli intellettuali che soli possono ricostruire la nazione. Fanno propria cioè la concezione mazziniana, mistica e spirituale, che vede nell’élite cerebrale il ruolo guida della missione nazionale.
La carica critica e biasimatrice delle riviste antiliberali e antigiolittiane, come appunto “La Voce” (alla quale la Sarfatti collabora) e “Lacerba”, si riverbera sempre più nella società intellettuale soprattutto grazie alle parole d’ordine interventiste. E’ l’eco guerresca che innesta negli animi dei letterati (perlopiù) nuova verve, più dissacrante e sprezzante che mai. Sono gli anni, questi, in cui Margherita occupa il posto mantenuto dalla Kuliscioff sino al ’14, anno del suo declino: quello di “regina dei salotti”. E sono gli anni in cui conosce un giovane passionale dal nome Benito Mussolini, direttore dell’”Avanti!” dal 12 dicembre 1912. In tutta probabilità, Margherita incontra il futuro Duce durante una delle sue apparizioni nel leggendario salotto della Kuliscioff, subito dopo il congresso di Reggio Emilia. Margherita resta affascinata dal tentativo mussoliniano di trasformare il partito socialista da organizzazione politica ad aristocrazia dell’intelligenza e di volontà.
Nel 1913 Margherita e Benito iniziano una infuocata ma schizofrenica relazione. D’altronde, è noto che Mussolini ama sedurre le donne e garantirsi un certo turn over. Ed è proprio in questo forsennato viavai di amanti che si inserisce il rimpiazzo di Angelica Balabanoff con Margherita, contemporaneamente alla frequentazione con Leda Ravanelli.
I due giovani amanti iniziano la loro congiunta battaglia politica nelle file dell’interventismo, per poi interrompersi molti anni dopo, presumibilmente nel ‘32.
E’ con la partecipazione attiva di Margherita che il futuro Duce fonda il suo nuovo giornale socialista. Il “Popolo d’Italia”, questo il celeberrimo nome del foglio, rappresenta la principale piattaforma dell’interventismo di sinistra.
La “Vergine rossa” non è l’unica icona femminile della sinistra a convertirsi all’interventismo. Nello stesso anno, il ’14, l’ex sindacalista rivoluzionaria e ora anarchica Maria Rygier aderisce alle tesi guerresche di Alceste De Ambris. Tesi esposte nella conferenza milanese che in quell’anno il celebre sindacalista nonché futuro fiumano propone[9]. Non paga di ciò, la Rygier sarà anche ispiratrice del “Manifesto degli anarchici interventisti”, compilato da Oberdan Gigli su invito di Maria.
Durante il suo cambio di pelle in senso interventista Margherita ha 34 anni e si distingue per la sua stimatissima attività di critica d’arte. Il suo salotto in Corso Venezia diventa un passaggio obbligato per tutti quegli intellettuali che covano velleità politiche, ma anche per le giovani promesse dell’arte modernista e per gli esponenti della letteratura internazionale quali Shaw, Joséphine Baker e Cocteau. Avida di successo e di fama, la “Venere rossa” punta sempre più in alto. Non paga del suo prestigiosissimo salotto, ambisce alla creazione di uno stile nazionale in arte e letteratura. Creare una nuova Nazione a colpi di opere artistiche e lettere, ecco il tormentone che infiamma Margherita. Questa ambizione piace al futuro Duce. Ed è il motivo che li lega in modo ancora più fitto. Mussolini capisce sin da subito che i suoi obiettivi di grandezza e quelli della sua amante si assomigliano. E che la sua partner è molto intelligente. In altre parole, che la sua collaborazione è quantomai conveniente. E’ questa consapevolezza che instillerà nei due amanti una formidabile complicità.
Durante l’ascesa al potere del fascismo il compito principale di Margherita è quello di legittimare l’astro nascente. Grazie al suo salotto e alle sue frequentazioni in generale Margherita esercita un ascendente sull’alta società. E’ così che smussa gli angoli rozzi del futuro Duce per introdurlo nella Milano “bene”, formidabile trampolino di lancio per il suo successo. I borghesi liberali si illudono che Mussolini sia “l’uomo giusto al momento giusto” proprio come la Sarfatti lo dipingeva. Convinti che le “parentesi squadriste” siano una degenerazione effimera della “politica dell’ordine” mussoliniana, iniziano a vedere nell’ex socialista la necessaria soluzione allo scompiglio nazionale. La Sarfatti infatti, diventa strategica alla creazione dei nuovi miti, che al movimento fascista sono indispensabili al suo consolidamento al potere. Inizia così la fortuna di Novecento, che ingrossa le sue fila, accogliendo al artisti come Martini, Carrà, Casorati, Rosai e Campigli, provenienti perlopiù dal futurismo ma anche dalla metafisica di De Chirico, protendono al recupero della tradizione italiana.
Nel corso degli anni Venti Margherita denuncia i vari tentativi di dare un marchio fascista alla cultura popolare e alle arti. In un suo articolo celebrativo del primo anniversario della Marcia su Roma spiega lapidaria che il fascismo ispira il “cattivo gusto” e che le uniche opere valide sono il busto di Mussolini creato da Wildt e le vignette politiche di Sironi. Mussolini, obtorto collo, sembra condividere. Ed è proprio per questo motivo che permette a Margherita di essergli maestra in questioni d’estetica. Non a caso nel ’24, alla conferenza nazionale delle organizzazioni artistiche, spiega che i concetti di “Italia” e di “arte” non possono essere disgiunti. Di più. Dice testualmente: “Per secoli l’arte fu la stessa Patria”.
Il suo grande successo tra il pubblico fu nel 1924, quando cioè riceve l’invito ufficiale a partecipare in qualità di gruppo alla Biennale di Venezia. Curiosità: è la prima volta che un gruppo organizzato espone alla Biennale. Il 26 aprile, all’inaugurazione della Biennale, durante il benvenuto di Gentile (in quel frangente ministro della Pubblica istruzione) al Re, un accigliato e scuro in volto Marinetti si mette a urlare “Abbasso Venezia passatista!” E’ il suo modo per lamentare l’esclusione dei futuristi a quel consesso. D’altronde, molti novecentisti provengono dal suo movimento e ciò lo ferisce ancora di più. Ma quel che gli brucia maggiormente è il fatto che il futurismo non è assurto all’arte ufficiale del fascismo. Anzi, sta diventando marginale a tutto vantaggio di Novecento.
Sempre nello stesso anno la Sarfatti è pero anche è arcinota per diffusione del culto del Duce, che trova in Dux, la sua biografia autorizzata da Mussolini, un primo, decisivo collaudo. Morto il marito Cesare nel 1924, aveva iniziato a scrivere la biografia di Mussolini. L’idea era stata di Prezzolini che aveva pensato a un lavoro in inglese capace di illustrare al mondo le caratteristiche del nuovo Primo Ministro italiano. Il libro esce infatti in Inghilterra nel settembre 1925 come The Life of Benito Mussolini, stampato a Londra e recensita da oltre centocinquanta tra giornali e riviste. Questo testo sacro del mito ducesco, ispirerà gli studi del massimo esperto del fascismo Emilio Gentile. Tale anticipazione è spiegata con l’ascendente del genere biografico sviluppato proprio in Gran Bretagna, implicito partner dell’Italia sino almeno alla vigilia dell’aggressione etiopica. L’anno dopo la Mondadori lo stampa in italiano col titolo Dux. Seguiranno ben 17 ristampe in Italia mentre all’estero verrà tradotto subito in 18 lingue comprese il turco e il giapponese. Un libro biografico/apologetico su Mussolini, un libro che poi divenne un best-seller internazionale.Il look del Mussolini versione-Sarfatti era tenebroso e aggressivo, e risultò decisivo per fare del Duce un mito mondiale. Quindi Margherita Sarfatti ebbe un ruolo importante, eppure oggi è una figura pressochè sconosciuta. Su di lei è caduto il silenzio. Di fronte al suo nome, dice l’autrice di un saggio critico sulla storia della letteratura nel periodo fascista, il lettore di oggi è colto di sorpresa. Nel 1926 si tiene la prima mostra ufficiale, seguita da numerose esposizioni in Italia e all’estero. Ma oltre a questo ruolo di punto nell’organizzazione culturale nazionale, la Sarfatti è arcinota per diffusione del culto del Duce, che trova in Dux, la sua biografia autorizzata da Mussolini, un primo, decisivo collaudo.
Ma Margherita è molto di più di una coordinatrice culturale e di una biografa: è ormai diventata un’ importante stimata critica d’arte. Mentre all’estero il Novecento Italiano trovava una gran seguito e godeva di una discreta fortuna critica, testimoniata dal gran numero di mostre che si assecondarono tra il 1926 e il 1929 in Germania, Francia e Austria, in Italia il movimento sarfattiano trovava sempre più ostacoli e sempre meno appoggi. Il timore maggiore degli avversari del Novecento era che il gruppo potesse monopolizzare la direzione delle mostre e degli eventi culturali, escludendo di fatto tutti gli artisti la cui produzione non poteva essere ricondotta in nessun modo alla teorizzazione estetica espressa dalla Sarfatti. Proprio in questo emergevano le contraddizioni: il Novecento italiano aspirava a voler raccogliere tutta la produzione artistica italiana, “normalizzandola” secondo i canoni del purismo e del realismo magico sviluppatosi nel primo dopoguerra ma, al tempo stesso, appoggiava la diversità delle poetiche proprio per potersi caratterizzare come un movimento ma senza esprimere una tendenza. Mentre dunque in Italia si cerca di ridurre il Novecento ad una delle tante scuole artistiche (al punto che, nella Biennale di Venezia del 1928, i novecentisti non ebbero a disposizione nemmeno una sala in cui esporre) all’estero si tendeva sempre più a riconoscere nelle produzioni novecentiste la maggiore tendenza dell’arte contemporanea italiana. Sul finire degli anni Venti anche l’indirizzo estetico sensibile al realismo magico perde il suo slancio iniziale. Tra gli artisti rimasti fedeli al gruppo sono Arturo Tosi, che aveva sempre goduto della stima della Sarfatti e che inizia proprio sullo scorgere degli anni Trenta a recuperare una pittura di tipo neoimpressionista, e Mario Sironi.
Quest’ultimo, compagno di avventura della Sarfatti dal 1922, nel 1932 teorizza il ritorno alla pittura murale e la sintesi delle arti, per testimoniare l’epoca del ritorno a miti grandiosi, fino a pubblicare sulle pagine de La Colonna il Manifesto della pittura murale in cui vengono enunciati i princìpi per un’arte fascista, sociale, collettiva, educatrice, ispirata ai modelli classici e alle figure arcaiche, in grado di accostare miti antichi e moderni tramite il filtro della monumentalità. Si tratta tuttavia di un percorso personale, che non venne adottato dagli artisti del Novecento italiano per il semplice motivo che tale movimento si era di fatto disgregato, complice l’eclissi dell’astro sarfattiano e l’azione di Giuseppe Bottai, l’allora ministro delle belle arti e della cultura fascista, che cercava di dare spazio anche agli artisti più giovani e intraprendenti. Il Novecento italiano dunque, pur avendo cercato l’appoggio politico di Mussolini, di fatto non fu mai promotore di un’arte di regime (se non nella sola personalità di Sironi negli anni Trenta) ma nacque in un più generale contesto artistico che venne poi impoverito ed estremizzato dalle teorizzazioni fasciste. Va ricordato che grazie alle proprie inclinazioni e ai continui stimoli, Margherita è sempre più invogliata ad approfondirsi nel campo artistico culturale, spirito alimentato poi dai suoi colleghi e stimatori con le continue iniziative quali mostre e conferenze sull’arte italiana. Va citato dunque un importante saggio sulla “Storia della Pittura Moderna”che testimonia del suo interesse per gli sviluppi dell’arte contemporanea europea.
Le Principali opere della scrittrice:
La milizia femminile in Francia, Milano, Rava & C., 1915.
La fiaccola accesa. Polemiche d’arte, Milano, Istituto editoriale italiano, 1919.
L’esposizione post-impressionista e futurista del pittore Emilio Notte, in “Cronache d’attualità”, Roma, 5 giugno 1919.
Cronache del mese, “Ardita”, Milano, I, 15 giugno 1919, p. 254
I vivi e l’ombra. Liriche, Milano, Facchi, 1921; Milano, A. Mondadori, 1934.
Tunisiaca, Milano-Roma, Mondadori, 1923.
Achille Funi, Milano, Hoepli, 1925.
The Life of Benito Mussolini, London, Thornton Butterworth, 1925.
Segni, colori e Luci. Note d’arte, Bologna, N. Zanichelli, 1925.
Dux, Milano, Mondadori, 1926.
Mostra personale del pittore Lorenzo Viani. Dal 18 al 31 gennaio 1929 (esame critico), Milano, Galleria, 1929.
Il palazzone. Romanzo, Milano, Mondadori, 1929.
Storia della pittura moderna, Roma, Cremonese, 1930.
Segni del meridiano, Napoli, Mazzoni, 1931.
Diciottesima Esposizione Biennale Internazionale d’Arte. 1932. Catalogo [con saggi di M. Sarfatti et al.], Venezia, Carlo Ferrari, 1932.
Daniele Ranzoni, Roma, Reale Accademia d’Italia, 1935.
L’America, ricerca della felicità, Milano-Verona, A. Mondadori, 1937.
Casanova contro Don Giovanni, Milano, A. Mondadori, 1950.
Acqua passata, Bologna, Cappelli, 1955.
L’Amore svalutato, Roma, E.R.S., 1958.
Bibliografia:
http://www.finestresullarte.info/percorsi/2010/09-novecento-italiano-arte.php
http://www.scuolaromana.net/personag/sarfatti.htm
http://www.archivioflaviobeninati.com/2013/03/la-madre-ebrea-del-fascismo-margherita-sarfatti/
http://www.storiadimilano.it/Personaggi/Ritratti%20femminili/sarfatti.htm