Margherita Sarfatti Opere

Nella vita letteraria è possibile osservare le varie tematiche affrontate dalla scrittrice, ma sopratutto un passaggio di evoluzione e mutamento dai libri che hanno contribuito a costruire la sua bibliografia.

Concentrandosi sulle tendenze culturali, l’avversione al positivismo e al razionalismo tipicamente ottocenteschi mette d’accordo già in epoca prefascista personaggi molto diversi sia per caratura culturale che politica come Prezzolini, Papini, Soffici e Corradini. I primi due fondano nel 1908 “La Voce”; il secondo e il terzo, in aperta polemica col primo, nel 1913 fondano “Lacerba”. Entrambe le riviste sono tutte tese al rinnovamento della cultura italiana a colpi di rivoluzioni emotive, poetiche e spirituali della vita. La foggia recisamente antipositivista ma al contempo antisocialista che caratterizza “La Voce” non lascia indifferente la Sarfatti che si complimenta con Prezzolini scrivendogli che la rivista è viva e sincera, riconoscendola come un ottimo sperimento rinnovatore della società, cosa che anche i socialisti, con diverse sfumature, agognano. E’ proprio grazie agli stimoli vociani che, come appunto molti suoi compagni, Margherita si smarca dal socialismo per volgere il suo sguardo politico all’eresia fascista. La goccia che fa traboccare il vaso è il suo sostegno alla guerra, che la pone in chiave antagonista nei confronti del suo partito. A quel punto, sconfessa sia il socialismo che il femminismo, ma anche l’internazionalismo. D’altra parte, acquisisce definitivamente il sentimento nazionalista. Il “salto della quaglia” avviene nel triennio ’12 – ’15 e sarà più tardi condiviso da molti compagni. Sempre più socialisti si convincono del ruolo demiurgico degli intellettuali che soli possono ricostruire la nazione. Fanno propria cioè la concezione mazziniana, mistica e spirituale, che vede nell’élite cerebrale il ruolo guida della missione nazionale.

La carica critica e biasimatrice delle riviste antiliberali e antigiolittiane, come appunto “La Voce” (alla quale la Sarfatti collabora) e “Lacerba”, si riverbera sempre più nella società intellettuale soprattutto grazie alle parole d’ordine interventiste. E’ l’eco guerresca che innesta negli animi dei letterati (perlopiù) nuova verve, più dissacrante e sprezzante che mai. Sono gli anni, questi, in cui Margherita occupa il posto mantenuto dalla Kuliscioff sino al ’14, anno del suo declino: quello di “regina dei salotti”. E sono gli anni in cui conosce un giovane passionale dal nome Benito Mussolini, direttore dell’”Avanti!” dal 12 dicembre 1912. In tutta probabilità, Margherita incontra il futuro Duce durante una delle sue apparizioni nel leggendario salotto della Kuliscioff, subito dopo il congresso di Reggio Emilia. Margherita resta affascinata dal tentativo mussoliniano di trasformare il partito socialista da organizzazione politica ad aristocrazia dell’intelligenza e di volontà.

Nel 1913 Margherita e Benito iniziano una infuocata ma schizofrenica relazione. D’altronde, è noto che Mussolini ama sedurre le donne e garantirsi un certo turn over. Ed è proprio in questo forsennato viavai di amanti che si inserisce il rimpiazzo di Angelica Balabanoff con Margherita, contemporaneamente alla frequentazione con Leda Ravanelli.

I due giovani amanti iniziano la loro congiunta battaglia politica nelle file dell’interventismo, per poi interrompersi molti anni dopo, presumibilmente nel ‘32.

E’ con la partecipazione attiva di Margherita che il futuro Duce fonda il suo nuovo giornale socialista. Il “Popolo d’Italia”, questo il celeberrimo nome del foglio, rappresenta la principale piattaforma dell’interventismo di sinistra.

La “Vergine rossa” non è l’unica icona femminile della sinistra a convertirsi all’interventismo. Nello stesso anno, il ’14, l’ex sindacalista rivoluzionaria e ora anarchica Maria Rygier aderisce alle tesi guerresche di Alceste De Ambris. Tesi esposte nella conferenza milanese che in quell’anno il celebre sindacalista nonché futuro fiumano propone[9]. Non paga di ciò, la Rygier sarà anche ispiratrice del “Manifesto degli anarchici interventisti”, compilato da Oberdan Gigli su invito di Maria.

Durante il suo cambio di pelle in senso interventista Margherita ha 34 anni e si distingue per la sua stimatissima attività di critica d’arte. Il suo salotto in Corso Venezia diventa un passaggio obbligato per tutti quegli intellettuali che covano velleità politiche, ma anche per le giovani promesse dell’arte modernista e per gli esponenti della letteratura internazionale quali Shaw, Joséphine Baker e Cocteau. Avida di successo e di fama, la “Venere rossa” punta sempre più in alto. Non paga del suo prestigiosissimo salotto, ambisce alla creazione di uno stile nazionale in arte e letteratura. Creare una nuova Nazione a colpi di opere artistiche e lettere, ecco il tormentone che infiamma Margherita. Questa ambizione piace al futuro Duce. Ed è il motivo che li lega in modo ancora più fitto. Mussolini capisce sin da subito che i suoi obiettivi di grandezza e quelli della sua amante si assomigliano. E che la sua partner è molto intelligente. In altre parole, che la sua collaborazione è quantomai conveniente. E’ questa consapevolezza che instillerà nei due amanti una formidabile complicità.

Durante l’ascesa al potere del fascismo il compito principale di Margherita è quello di legittimare l’astro nascente. Grazie al suo salotto e alle sue frequentazioni in generale Margherita esercita un ascendente sull’alta società. E’ così che smussa gli angoli rozzi del futuro Duce per introdurlo nella Milano “bene”, formidabile trampolino di lancio per il suo successo. I borghesi liberali si illudono che Mussolini sia “l’uomo giusto al momento giusto” proprio come la Sarfatti lo dipingeva. Convinti che le “parentesi squadriste” siano una degenerazione effimera della “politica dell’ordine” mussoliniana, iniziano a vedere nell’ex socialista la necessaria soluzione allo scompiglio nazionale. La Sarfatti infatti, diventa strategica alla creazione dei nuovi miti, che al movimento fascista sono indispensabili al suo consolidamento al potere. Inizia così la fortuna di Novecento, che ingrossa le sue fila, accogliendo al artisti come Martini, Carrà, Casorati, Rosai e Campigli, provenienti perlopiù dal futurismo ma anche dalla metafisica di De Chirico, protendono al recupero della tradizione italiana.

Nel corso degli anni Venti Margherita denuncia i vari tentativi di dare un marchio fascista alla cultura popolare e alle arti. In un suo articolo celebrativo del primo anniversario della Marcia su Roma spiega lapidaria che il fascismo ispira il “cattivo gusto” e che le uniche opere valide sono il busto di Mussolini creato da Wildt e le vignette politiche di Sironi. Mussolini, obtorto collo, sembra condividere. Ed è proprio per questo motivo che permette a Margherita di essergli maestra in questioni d’estetica. Non a caso nel ’24, alla conferenza nazionale delle organizzazioni artistiche, spiega che i concetti di “Italia” e di “arte” non possono essere disgiunti. Di più. Dice testualmente: “Per secoli l’arte fu la stessa Patria”.

Il suo grande successo tra il pubblico fu nel 1924, quando cioè riceve l’invito ufficiale a partecipare in qualità di gruppo alla Biennale di Venezia. Curiosità: è la prima volta che un gruppo organizzato espone alla Biennale. Il 26 aprile, all’inaugurazione della Biennale, durante il benvenuto di Gentile (in quel frangente ministro della Pubblica istruzione) al Re, un accigliato e scuro in volto Marinetti si mette a urlare “Abbasso Venezia passatista!” E’ il suo modo per lamentare l’esclusione dei futuristi a quel consesso. D’altronde, molti novecentisti provengono dal suo movimento e ciò lo ferisce ancora di più. Ma quel che gli brucia maggiormente è il fatto che il futurismo non è assurto all’arte ufficiale del fascismo. Anzi, sta diventando marginale a tutto vantaggio di Novecento.

Sempre nello stesso anno la Sarfatti è pero anche è arcinota per diffusione del culto del Duce, che trova in Dux, la sua biografia autorizzata da Mussolini, un primo, decisivo collaudo. Morto il marito Cesare nel 1924, aveva iniziato a scrivere la biografia di Mussolini. L’idea era stata di Prezzolini che aveva pensato a un lavoro in inglese capace di illustrare al mondo le caratteristiche del nuovo Primo Ministro italiano. Il libro esce infatti in Inghilterra nel settembre 1925 come The Life of Benito Mussolini, stampato a Londra e recensita da oltre centocinquanta tra giornali e riviste. Questo testo sacro del mito ducesco, ispirerà gli studi del massimo esperto del fascismo Emilio Gentile. Tale anticipazione è spiegata con l’ascendente del genere biografico sviluppato proprio in Gran Bretagna, implicito partner dell’Italia sino almeno alla vigilia dell’aggressione etiopica. L’anno dopo la Mondadori lo stampa in italiano col titolo Dux. Seguiranno ben 17 ristampe in Italia mentre all’estero verrà tradotto subito in 18 lingue comprese il turco e il giapponese. Un libro biografico/apologetico su Mussolini, un libro che poi divenne un best-seller internazionale.Il look del Mussolini versione-Sarfatti era tenebroso e aggressivo, e risultò decisivo per fare del Duce un mito mondiale. Quindi Margherita Sarfatti ebbe un ruolo importante, eppure oggi è una figura pressochè sconosciuta. Su di lei è caduto il silenzio. Di fronte al suo nome, dice l’autrice di un saggio critico sulla storia della letteratura nel periodo fascista, il lettore di oggi è colto di sorpresa. Nel 1926 si tiene la prima mostra ufficiale, seguita da numerose esposizioni in Italia e all’estero. Ma oltre a questo ruolo di punto nell’organizzazione culturale nazionale, la Sarfatti è arcinota per diffusione del culto del Duce, che trova in Dux, la sua biografia autorizzata da Mussolini, un primo, decisivo collaudo.


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Ma Margherita è molto di più di una coordinatrice culturale e di una biografa: è ormai diventata un’ importante stimata critica d’arte. Mentre all’estero il Novecento Italiano trovava una gran seguito e godeva di una discreta fortuna critica, testimoniata dal gran numero di mostre che si assecondarono tra il 1926 e il 1929 in Germania, Francia e Austria, in Italia il movimento sarfattiano trovava sempre più ostacoli e sempre meno appoggi. Il timore maggiore degli avversari del Novecento era che il gruppo potesse monopolizzare la direzione delle mostre e degli eventi culturali, escludendo di fatto tutti gli artisti la cui produzione non poteva essere ricondotta in nessun modo alla teorizzazione estetica espressa dalla Sarfatti. Proprio in questo emergevano le contraddizioni: il Novecento italiano aspirava a voler raccogliere tutta la produzione artistica italiana, “normalizzandola” secondo i canoni del purismo e del realismo magico sviluppatosi nel primo dopoguerra ma, al tempo stesso, appoggiava la diversità delle poetiche proprio per potersi caratterizzare come un movimento ma senza esprimere una tendenza. Mentre dunque in Italia si cerca di ridurre il Novecento ad una delle tante scuole artistiche (al punto che, nella Biennale di Venezia del 1928, i novecentisti non ebbero a disposizione nemmeno una sala in cui esporre) all’estero si tendeva sempre più a riconoscere nelle produzioni novecentiste la maggiore tendenza dell’arte contemporanea italiana. Sul finire degli anni Venti anche l’indirizzo estetico sensibile al realismo magico perde il suo slancio iniziale. Tra gli artisti rimasti fedeli al gruppo sono Arturo Tosi, che aveva sempre goduto della stima della Sarfatti e che inizia proprio sullo scorgere degli anni Trenta a recuperare una pittura di tipo neoimpressionista, e Mario Sironi.

Quest’ultimo, compagno di avventura della Sarfatti dal 1922, nel 1932 teorizza il ritorno alla pittura murale e la sintesi delle arti, per testimoniare l’epoca del ritorno a miti grandiosi, fino a pubblicare sulle pagine de La Colonna il Manifesto della pittura murale in cui vengono enunciati i princìpi per un’arte fascista, sociale, collettiva, educatrice, ispirata ai modelli classici e alle figure arcaiche, in grado di accostare miti antichi e moderni tramite il filtro della monumentalità. Si tratta tuttavia di un percorso personale, che non venne adottato dagli artisti del Novecento italiano per il semplice motivo che tale movimento si era di fatto disgregato, complice l’eclissi dell’astro sarfattiano e l’azione di Giuseppe Bottai, l’allora ministro delle belle arti e della cultura fascista, che cercava di dare spazio anche agli artisti più giovani e intraprendenti. Il Novecento italiano dunque, pur avendo cercato l’appoggio politico di Mussolini, di fatto non fu mai promotore di un’arte di regime (se non nella sola personalità di Sironi negli anni Trenta) ma nacque in un più generale contesto artistico che venne poi impoverito ed estremizzato dalle teorizzazioni fasciste. Va ricordato che grazie alle proprie inclinazioni e ai continui stimoli, Margherita è sempre più invogliata ad approfondirsi nel campo artistico culturale, spirito alimentato poi dai suoi colleghi e stimatori con le continue iniziative quali mostre e conferenze sull’arte italiana. Va citato dunque un importante saggio sulla “Storia della Pittura Moderna”che testimonia del suo interesse per gli sviluppi dell’arte contemporanea europea.


 

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Le Principali opere della scrittrice:

La milizia femminile in Francia, Milano, Rava & C., 1915.
La fiaccola accesa. Polemiche d’arte, Milano, Istituto editoriale italiano, 1919.
L’esposizione post-impressionista e futurista del pittore Emilio Notte, in “Cronache d’attualità”, Roma, 5 giugno 1919.
Cronache del mese, “Ardita”, Milano, I, 15 giugno 1919, p. 254
I vivi e l’ombra. Liriche, Milano, Facchi, 1921; Milano, A. Mondadori, 1934.
Tunisiaca, Milano-Roma, Mondadori, 1923.
Achille Funi, Milano, Hoepli, 1925.
The Life of Benito Mussolini, London, Thornton Butterworth, 1925.
Segni, colori e Luci. Note d’arte, Bologna, N. Zanichelli, 1925.
Dux, Milano, Mondadori, 1926.
Mostra personale del pittore Lorenzo Viani. Dal 18 al 31 gennaio 1929 (esame critico), Milano, Galleria, 1929.
Il palazzone. Romanzo, Milano, Mondadori, 1929.
Storia della pittura moderna, Roma, Cremonese, 1930.
Segni del meridiano, Napoli, Mazzoni, 1931.
Diciottesima Esposizione Biennale Internazionale d’Arte. 1932. Catalogo [con saggi di M. Sarfatti et al.], Venezia, Carlo Ferrari, 1932.
Daniele Ranzoni, Roma, Reale Accademia d’Italia, 1935.
L’America, ricerca della felicità, Milano-Verona, A. Mondadori, 1937.
Casanova contro Don Giovanni, Milano, A. Mondadori, 1950.
Acqua passata, Bologna, Cappelli, 1955.
L’Amore svalutato, Roma, E.R.S., 1958.

 

Bibliografia:

http://www.finestresullarte.info/percorsi/2010/09-novecento-italiano-arte.php

http://www.mirorenzaglia.org/2013/08/margherita-sarfatti-e-il-novecentismo-tra-fascismo-e-antifascismo/

http://www.scuolaromana.net/personag/sarfatti.htm

http://www.archivioflaviobeninati.com/2013/03/la-madre-ebrea-del-fascismo-margherita-sarfatti/

http://www.storiadimilano.it/Personaggi/Ritratti%20femminili/sarfatti.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Margherita_Sarfatti

Margherita Sarfatti Biografia

Margherita Grassini in Sarfatti, nasce a Venezia. Studiosa di arte e letteratura, attivista politica nel partito socialista, scrisse per numerosi giornali, nota scrittrice, ricordata in particolare per la “relazione” con Benito Mussolini. Margherita, ultima di quatto figli, apparteneva ad una ricca e famosa famiglia ebrea.


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Nata l’8 aprile 1880 da Emma Levi (Emma era cugina di Natalia che sposò il critico letterario antifascista Leone Ginzburg e divenne la famosa scrittrice Natalia Ginzburg) e Amedeo Grassini, due ricchi ebrei della buona società veneziana, Margherita visse un’infanzia incantata tra le mura del palazzo di famiglia situato nella parte vecchia del Ghetto di Venezia. Nel 1894 la famiglia Grassini abbandonò il Ghetto vecchio per stabilirsi in una casa che rispecchiasse meglio il suo crescente prestigio. La nuova abitazione di Margherita fu palazzo Bembo su canal grande. Questa più degna sistemazione, che era appartenuta tra XV e XVI secolo al celebre storico e poeta nonché Cardinale, Pietro Bembo, venne rimessa a nuovo ed ebbe tra l’altro il primo ascensore di Venezia. All’epoca del traferimento Margherita aveva 14 anni ed era un’adolescente straordinariamente bella, ma soprattutto straordinariamente intelligente e sicura di se. Nutrita con l’atmosfera culturale che si respirava nella sua grande casa sempre frequentata da illustri rappesentanti della cultura veneziana e italiana, Margherita conquistava gli ospiti di palazzo Bembo esternando preferenze e pareri tanto definiti quanto particolarmente impegnati per una ragazza ancora nel pieno dell’adolescenza. Quando aveva 12 anni i genitori di Margherita decisero di assecondare la sete di conoscenza che la figlia aveva così bene esternato assumendo dei tutori privati. A quell’epoca era raro che le giovani donne di buona famiglia venissero incoraggiate allo studio della storia e della letteratura. In una cultura ancora profondamente maschilista nella quale gli uomini potevano chiedere il divorzio per adulterio ma le donne no, il futuro che si prospettava alle appartenenti al gentil sesso era semplicemente quello della cura della casa e della propria famiglia. Già molto determinata a non seguire questo schema, ma soprattutto determinata ad imparare e a studiare ogni cosa, Margherita ottenne l’appoggio dei genitori che presero per lei tre tutori privati: Pietro Orsi, Pompeo Molmenti e Antonio Fradeletto. Molmenti era uno studioso della cultura veneziana e accostò Margherita all’arte pittorica e scultorea con l’idea che rafforzassero i valori civili. Sicuramente importantissimo, l’insegnamento di questi due ottimi tutori non quanto però Antonio Fradeletto, che la condusse nel mondo dell’arte e le fece scoprire le opere del critico Jonh Ruskin, divenuto in seguito per la giovane un irrinunciabile punto di riferimento. Il maestro instaurò con la giovane allieva un rapporto intenso, vivacissimo e per nulla univoco, da cui imparò che la vera funzione del critico era spiegare gli ideali che sottendono a una creazione artistica piuttosto che lo stile o la tecnica. Oltretutto Ruskin indicò a Margherita la via dell’arte moderna e lei imparò fin da giovanissima ad apprezzare le audacie dei pittori moderni che condannavano l’accademismo. Essi diedero alla figlia dei Grassini un’educazione di qualità, ampiezza e vigore straordinari. Oltre all’attività accademica erano impegnati in politica e furono poi deputati e sanatori nel Parlamento italiano. Orsi giovane storico che si era occupato a lungo del periodo medievale poi abbandonato a favore della storia dell’Italia contemporanea, lasciò a Margherita un insegnamento che non avrebbe mai dimenticato basato sulla convinzione che il progresso sociale e intellettuale fosse specchio di una nazione almeno quanto lo erano le guerre e la politica. Ma le sue preferenze andavano alle opere moderne, in particolare a quelle del romanticismo, che lei adorava. I romanzi realistici di Balzac e Hugo le fecero conoscere le ingiustizie economiche e l’oppressione a cui erano soggette le donne e i deboli. L’incontro con George Bernard Shaw rafforzò queste idee che erano ormai delle convinzioni. Era questa l’epoca in cui scrittori e intellettuali denunciavano apertamente le convenzioni conservatrici trovando in Margherita Sarfatti una decisa sostenitrice. La sua grande intelligenza nonché apertura mentale la portarono a interessarsi anche a scrittori irriverenti come Gabriele D’Annunzio, che ammirava tanto quanto Oscar Wilde. Arricchita da una formazione così vasta per quantità ma soprattutto per genere, Margherita si trovò però a dover risolvere il conflitto tra la cultura classica, che aveva appreso dai suoi maestri, e le teorie moderne che la sua mente vorace le chiedeva di indagare. Questo contrasto interiore era poi aggravato dall’ambiente famigliare piuttosto religioso. I Grassini erano ebrei ma lei era cresciuta leggendo la Bibbia e i forti legami del padre con il mondo ecclesiastico le avevano mostrato con molta eloquenza le contraddizioni della morale cattolica. Fu a questo punto della sua evoluzione intellettuale che Margherita, ancora diciassettenne, incontrò la causa del femminismo e la teoria del marxismo. Il suo ingresso fra i socialisti italiani avvenne con la pubblicazione di un articolo su una rivista letteraria socialista di Torino. Il pezzo, che sarebbe stato il primo di tanti, era firmato “Marta Grani”. Margherita aveva coniato questo pseudonimo mettendo insieme la prima e l’ultima sillaba del suo nome e del suo cognome. Dopo la pubblicazione dell’articolo, che scatenò l’ira di Amedeo Grassini, Margherita fu accolta nella comunità socialista che subito la ribattezzò la “Vergine rossa” in onore a Louise Michel, femminista che nel 1871 aveva capeggiato la rivolta della Comune di Parigi, primo esperimento di attuazione delle idee socialiste. Margherita si accostò al femminismo ma non del tutto. Cominciò collaborando con “L’Unione femminile”, una rivista edita a Milano e fondata nel 1901 da Ada Negri. È proprio da qui che inizia la presenza attiva e costante di Margherita Sarfatti all’interno della cultura e della politica italiana. Grazie alle amicizie del padre, conosce personalmente famosi letterati, quali Gabriele D’Annunzio e Antonio Fogazzaro. Nel 1898, dopo tre anni di fidanzamento, appena compie 18 anni, sposa l’avvocato – ebreo e anch’egli socialista – Cesare Sarfatti, dal quale prende il cognome con cui firma tutte le sue opere. Dal matrimonio nascono Roberto ed Amedeo. Nel 1902 i Sarfatti si trasferirono a Milano con i due loro figli: Roberto (che morì in battaglia durante la I guerra mondiale) e Amedeo. Nella grande città lombarda Margherita prosegue l’impegno in politica, cominciando a scrivere su l’”Avanti!”, e prosegue la sua passione per l’arte. In evidente contraddizione con la loro fede socialista, Cesare e sua moglie vivevano in un bell’appartamento di via Brera e sostenevano una vita agiata a cui non mancava nulla. Il rifiuto del razionalismo di stampo ottocentesco e il richiamo alla grande varietà di sfumature a cui esso rispondeva, riunì personaggi di diversa cultura ed estrazione come Prezzolini, Papini e Corradini che sarà il maggiore propugnatore del nazionalismo italiano. I primi due invece saranno protagonisti della creazione, nel 1908 de “La Voce” . La posizione antipositivista e anche antisocialista assunta da “La Voce” non dispiacque a Margherita. Nel progetto editoriale di Papini e Prezzolini, Margherita ritrovava l’importanza della partecipazione dell’intellettuale alla costruzione di una nuova società moderna. Tutto questo nucleo ideologico costituì l’avanguardia del suo pensiero fascista che convisse con la militanza nel socialismo riformista, ma che in realtà era già presente e ben radicato perché proveniva direttamente dalla sua prima formazione.


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Nel 1909 diventa direttrice della rubrica dedicata all’arte, sul quotidiano “Avanti” (del partito socialista italiano). Lo stesso anno conosce Benito Mussolini e, vicina alle sue idee, diventa redattrice de “Il Popolo d’Italia”, quotidiano fondato e diretto dal futuro dittatore e collabora nel frattempo con il “La Stampa” di Torino e la rivista di teoria politica “Gerarchia” che dirige dopo il 1922, anno in cui fonda anche il “Gruppo del Novecento” che, a causa della sua adesione al fascismo, vede allontanarsi da lei alcuni artisti,  contrari alla nascita di un’arte fascista. Nel 1913 erano già amanti, ma c’era nel loro rapporto un misto di attrazione e repulsione. Per di più Mussolini trattava le donne con leggerezza, indifferenza e amava corteggiarle. Leda Rafanelli fu sua amante, con tutta probabilità, contemporaneamente a Margherita che aveva rimpiazzato la socialista Angelica Balabanoff. Comunque da quando Margherita entrò nella vita di Mussolini e fino al momento della rottura che si può più o meno collocare nell’anno 1932, il loro fu un sodalizio amoroso, ma anche e soprattutto culturale e in qualche modo formativo. Il primo capitolo della loro storia insieme fu la partecipazione attiva e fondamentale al movimento interventista italiano. Partecipò al nuovo giornale un nuovo giornale fondato da Mussolini: il “Popolo d’Italia” che divenne la principale tribuna attraverso cui lanciare le forte convinzione che una guerra fosse necessaria per curare e restaurare la società italiana. A quel punto della sua vita, all’età di 35 anni, la Sarfatti si trovava in una posizione che le era invidiata da tutti. Era diventata uno dei critici d’arte più rispettati, il suo salotto in corso Venezia aveva assunto un carattere politico che ne rendeva fondamentale la frequentazione a chiunque sperasse o già avesse una qualsiasi posizione di rilievo. Tutto ciò però non bastava a Margherita che, ambiziosa e assetata di potere, vedeva in Mussolini un mezzo con il quale raggiungere il suo scopo. Precisamente ciò che voleva era la creazione di una cultura nazionale ovvero di uno stile nazionale in arte e letteratura. La sua posizione di preminenza all’interno dell’alta società milanese la poneva nella condizione di poter, anche attraverso il suo frequentatissimo salotto, diffondere idee e convinzioni. Margherita sgrezzò il rozzo Mussolini e lo presentò legittimandolo alla Milano “bene”. Il suo sostegno al movimento violento fondato dal futuro duce fu fondamentale perché fece credere alla borghesia liberale che Mussolini fosse l’uomo giusto al momento giusto. In altre parole, Margherita diede al fascismo la necessaria rispettabilità, quella rispettabilità che la borghesia milanese faticava a vedere nello squadrismo e nella brutalità del suo capo.


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Luigi Siciliani tra Benito Mussolini e Margherita Sarfatti presenzia a una manifestazione ufficiale come Sottosegretario delle Belle Arti (1923).


Nel 1924, rimasta vedova, si dedica alla stesura di una biografia su Mussolini, pubblicata inizialmente nel 1925 in Inghilterra, con il titolo “The life of Benito Mussolini” e l’anno successivo in Italia col titolo “Dux”. Margherita fu anche responsabile dell’ufficio stampa che forniva informazioni alla stampa estera, soprattutto statunitense. Quindi fino al 1931-32 questa fu la parte che Margherita svolse. Da quell’anno però la ruota della fortuna girò in senso contrario per questa donna che venne soppiantata nel ruolo di amante ufficiale da Claretta Petacci. I rapporti già tesi con il duce la spinsero prima al margine della sua vita privata e poi anche di quella pubblica. Il varo della legislazione antisemita costringere la Sarfatti (che nel frattempo si è convertita al cattolicesimo) al passo estremo dell’esilio e alla conclusione della sua avventura politico-culturale al fianco del fascismo. Cacciata e ripudiata da Mussolini che le consigliò di far dimenticare più in fretta possibile il suo nome, la Sarfatti si rifugiò prima a Parigi poi nel sud America dove, già molto conosciuta e ammirata, visse fino al 1947. Lo stesso anno torna in Italia e negli ultimi anni della sua vita la Sarfatti s’impegna, un po’ per spirito di vendetta, un po’ perchè oppressa dalla ristrettezza economica, in una trattativa per la vendita del loro corteggiamento privato, costituito da ben 1272 lettere, al miglior offerente della sua corrispondenza con Mussolini. Dopo vari annunci sulla stampa, dell’affare non si fece nulla e quelle lettere rimasero inedite. Segno forse solo involontario e casuale di un legame, tra il dittatore e la sua musa, rimasto segretamente vincolante e tutt’altro che effimero ed occasionale. Muore, pressochè dimenticata il 30 ottobre 1961, nella sua villa del Soldo, vicino a Como all’eta’ di 81 anni.


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Margherita all’età di 80 anni


Sitografia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Margherita_Sarfatti

http://www.storiadimilano.it/Personaggi/Ritratti%20femminili/sarfatti.htm

http://www.mirorenzaglia.org/2013/08/margherita-sarfatti-e-il-novecentismo-tra-fascismo-e-antifascismo/

http://www.archivioflaviobeninati.com/2013/03/la-madre-ebrea-del-fascismo-margherita-sarfatti/